Alcuni affermano che la felicità non esista; altri che sia qualcosa di difficile da raggiungere, quasi una chimera. Immagino che dipenda dal significato che attribuiamo al termine felicità, che è una parola impegnativa e forse mal interpretata.
Leggiamo, dal vocabolario Treccani: "Felicità: stato d'animo di chi è sereno, non turbato da dolori o preoccupazioni e gode di questo suo stato".
Niente di trascendentale dunque!
Certo, mi si dirà che oggi come ieri siamo oberati di preoccupazioni... questo è reale in parte, nel senso che molte volte effettivamente dobbiamo affrontare delle situazioni non gradevoli, ma è anche vero che spesso quello che ci angustia sono appunto pre-occupazioni, tematiche cioè che ci angosciano e affollano la nostra mente prima del tempo e senza una concreta necessità; questo perchè abbiamo acquisito una abitudine automatica a collegarci con esse e non con la parte sana e bella della nostra vita e di noi stessi.
Il filosofo Bertrand Russell, nel suo saggio "La conquista della Felicità", sostiene che l'odio (e le connesse emozioni che portano all'infelicità), scaturisca da una sorta di scollamento dell'uomo con la Vita, come se non ne percepisse più alcuna bellezza. Viceversa, quando l'uomo si recepisce parte del Tutto, riceve la gioia che solo il senso di integrazione può dare, nel far parte del flusso vitale e dell'energia dell'Universo. Questo stato di benessere deriva da una semplice quanto fondamentale attitudine: seguire la corrente della propria istintiva natura in quanto esseri viventi facenti parte del Cosmo.
Perseguire la felicità, come dimensione dell'anima che quietamente gode delle "onde" del mare vitale e, pur partecipando emotivamente e sentimentalmente, non è separata dal flusso, credo dovrebbe essere una naturale propensione umana.
I greci definivano questa aspirazione "eudaimonia". L'etimologia della parola deriva da "eu", che vuol dire "bene", e "daimon", che significa "demone", inteso come "spirito benefico, coscienza superiore, guida". In sostanza una sorta di "bene guida" o "energia buona" che rappresenta l'oggetto della ricerca e nello stesso tempo il premio conseguito, giacchè il tendere verso essa ci rende inevitabilmente più vicini a noi stessi e al nostro cuore.
I greci definivano questa aspirazione "eudaimonia". L'etimologia della parola deriva da "eu", che vuol dire "bene", e "daimon", che significa "demone", inteso come "spirito benefico, coscienza superiore, guida". In sostanza una sorta di "bene guida" o "energia buona" che rappresenta l'oggetto della ricerca e nello stesso tempo il premio conseguito, giacchè il tendere verso essa ci rende inevitabilmente più vicini a noi stessi e al nostro cuore.
Il mio lavoro si orienta proprio in questa direzione, tentando di fornire le chiavi per facilitare questo percorso di ricerca.
Pur riconoscendo i momenti veramente difficili e cupi dell'esistenza, possiamo convenire che orientare il nostro sguardo mentale e emozionale verso la serenità eudemonica, può essere lieve e senza fatica.
A volta bastano pochi semplici passi per riprendere contatto con la nostra natura, con il battito del cuore, col respiro del nostro corpo e della Terra sotto i nostri piedi, con la nostra Verità, e tante sovrastrutture crollano come se fossero parte di un fragile castello di carte.
A volta bastano pochi semplici passi per riprendere contatto con la nostra natura, con il battito del cuore, col respiro del nostro corpo e della Terra sotto i nostri piedi, con la nostra Verità, e tante sovrastrutture crollano come se fossero parte di un fragile castello di carte.
E' possibile che per guadagnarsi la felicità a volte capiti di soffrire per poter comprendere e imparare, ma non credo sia necessariamente obbligatorio fare fatica e patire. Credo invece che il sentiero possa essere, se pur infinitamente perfettibile, certamente percorso